I CATARI di Hannes Schick

l paesaggio della Linguadoca, i suoi querceti, vigneti e villaggi di pietra ruvida evocano un senso di pace e serenità. Scarsamente popolata, arida ma fertile, questa regione fu il centro di una religione cristiana che aveva stretti legami con lo gnosticismo manicheo e bogomila, presente nell’Asia minore, Medio Oriente e nella Grecia.

 

Tutto l’articolo è di Hannes Schick

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La conoscenza che oggi abbiamo dei catari ci è fornita dagli interrogatori dell’Inquisizione, dal Vangelo canonico e apocrifo, dai rotoli esseni di Qumran e dalle scritture paleocristiane di Nag Hammadi. Risulta che questa fede affonda le sue radici nello gnosticismo dualistico dei therapeutate, esseni, nazareni e zoroastriani. Un cristianesimo iniziatico che sopravvive fino ad oggi dai Nazairi, (Nazareni) di Jebel Asariya, nel Libano del Nord. Dopo aver generato una società ricca, pacifica e tollerante nel sud della Francia, il catarismo causò la reazione più dura mai perpetrata contro altri cristiani da parte della Chiesa cattolica. Un genocidio conosciuto con il nome di Crociata Albigensis. Albigese perché, pur essendo diffuso nelle zone di Tolosa, Agen, Beziers, Carcassone ed altre aree della Francia, il catarismo aveva il suo epicentro nella città d’Albi. La parola proviene dal greco Katharos, che significa puro. Paragonandosi alla chiesa romana, considerata corrotta e nominata Chiesa dei Lupi, i catari pensano di incarnare il vero insegnamento di Gesù. Secondo loro, il maestro Nazareno (Nazar-esseno, essendo di Nazar) Yeshua ben Joseph, non venne per redimere l’uomo dal peccato, ma per rivelargli la via alla salvezza attraverso il sapere (gnosis). Un concetto opposto a quello della deificazione di Gesù, imposta da Saulo/Paolo di Tarso e i successivi vescovi della Chiesa Romana.

Per i catari Gesù portava la Buona Notizia (eu angellum) e superò la dualità, realizzando con il corpo lo straordinario. Il concetto della polarità e del principio di causa-effetto è determinante in questo credo, ispirato dallo gnosticismo di Zarathustra e Hermes Trismegistos. Secondo i catari, l’anima, che sulla terra indossa veste umana, si reincarna nel tentativo di superare la dualità che la separa dal “regno dei cieli” e dalla riunione con tutto ciò che è divino. Pare che a reincarnazione sia stato un concetto teologico proprio anche della Chiesa Romana, almeno fino a quando non fu cancellato, nel 543, dall’imperatore Giustiniano, o più precisamente da sua moglie.

La firma di Papa Virgilio ratificò il decreto imperiale il quale dichiarava che da quel momento in avanti, per i cattolici, le anime non rinascevano più. I catari rifiutano l’idea di un giudizio universale e di un inferno eterno e pongono la responsabilità di vivere nella gioia o nel dolore nelle mani del credente. E’ l’essere umano a determinare il proprio destino con ogni pensiero ed azione. Sessualità, vittimizzazione e potere sono considerati parte della dualità inferiore. L’attività sessuale è perciò vissuta come un male necessario, che fornisce le spoglie umane alle anime che si reincarnano. L’eucarestia e il simbolo della croce sono respinti perché espressione di un supplizio supposto, e il potere, in forma di un’autorità centrale e suprema, è assente.

La Chiesa catara si compone di credenti, gli uditori, e di preti e vescovi, chiamati bonshommes o Buoni Cristiani. Nominati dai loro pari, i vescovi o le donne vescovo hanno due assistenti, il figlio o la figlia maggiore e minore. La vita è dedicata al perfezionamento degli ideali dei loro precursori esseni. Vivono e lavorano in comunità e riconoscono solo il Sacramento, consolamene, del battesimo e quello dei morenti, un rituale atto ad offrire un bon fin al credente e facilitare la sua reincarnazione. La confessione, l’aparelhament, avviene pubblicamente per l’intera comunità. I pasti, consumati dai vescovi, preti e credenti insieme, iniziano con la benedizione del pane e del vino e si concludono con lo scambio del Bacio della Pace, che esprime la comunione spirituale e l’eguaglianza dei membri dell’assemblea. Un altro aspetto, spesso trascurato, del credo dei catari,è che Yeshua ben Joseph, discendente della casa reale davidiana, e la principessa asmonita, Miriam Magdala di Betania (Migdal-eder = torre di guardia del gregge), avessero avuto dei figli, dai quali discendevano le dinastie di Sangue Royale, o sangreal in lingua d’oc.

La studiosa dei rotoli del Mar Morto, Barbara Thiering, arriva alla conclusione che l’unione tra Gesù, il “re degli ebrei”, e la principessa asmonita avrebbe enfatizzato la volontà di dar vita ad un erede. In questo contesto è interessante notare che il re di Francia, Luigi XI, proclamò ripetutamente che la dinastia reale francese discendeva da Maria Maddalena. Secondo i catari, Maria Maddalena, perseguitata in Gerusalemme dopo la morte di Giacomo il Giusto, scappò in Egitto e raggiunse da lì le coste del Kal, la Gallia celtica, assieme a sua figlia Sarah, alcuni discepoli e dignitari ebrei esseni. La volpe è un simbolo usato spesso nelle illustrazioni medioevali, specialmente quello della volpe che rovina il vino. Nella tradizione catara la volpe simboleggia l’imbroglio del popolo da parte del clero. Nel famoso quadro di Botticelli, conosciuto come “Santa Maria Maddalena ai piedi della Croce”, alla destra della Maddalena si vede un angelo che tiene una volpe per la coda. Secondo alcuni studiosi cattolici, tra cui Margaret Starbird, l’autrice del libro “The Woman with the Alabaster Jar” – La donna con il vaso d’alabastro, questo simboleggia la Chiesa che, con il pelo della volpe, rovina il vino della sposa negandole la continuità della linea di sangue di Gesù. Il messaggio evangelista predicato con tanto zelo da Saulo-Paolo è considerato pura blasfemia dalla Chiesa di Gerusalemme.  Per i catari, l’implicazione che l’aristocratica sacerdotessa del rango di una Sofia (saggia, iniziata) fosse una volgare prostituta è un’offesa grossolana. Per loro Maddalena rappresenta il principio femminile del divino. Di conseguenza la donna, emarginata nella Chiesa cattolica, presso i catari occupa un ruolo paritario. In realtà il conflitto tra cristiani ellenistici romani e cristiani ebrei è in atto già dai primi decenni dopo Cristo, quando i vescovi romani e i discepoli del primo vescovo di Gerusalemme, il fratello di Gesù Giacomo il Giusto, interpretano in modo diverso il messaggio evangelico. Sfortunatamente Giacomo muore in un attentato.

Al Concilio di Nicea, nel 325, la Chiesa cattolica si proclama “unica rappresentante di Dio sulla terra” e “nel nome della verità rivelata da Dio” ordina che tutto ciò che contraddice l’”infallibile” dottrina papale è da considerarsi eretico, punibile con l’esilio forzato, la confisca dei beni e la morte. Nel dodicesimo secolo la Chiesa catara penetra nel tessuto sociale dell’intero sud occitano, trovando il sostegno di una nobiltà predominantemente anticlericale e d’una borghesia che apprezza il valore dato al lavoro. I catari eccellono nelle professioni di falegnami, muratori, textores (tessitori) e curatori. Altro particolare, questo, che li accomuna agli esseni. Dopo aver convinto l’élite, ottengono, soprattutto, l’adesione del popolo che apprezza l’ esemplare semplicità della vita dei preti e vescovi catari. A questa sfida da parte dalla Chiesa catara, la Chiesa cattolica reagisce con brutale repressione.

Nella metà del dodicesimo secolo i roghi si moltiplicano, e nel 1209 Innocenzo III da l’inizio alla Crociata albigese, sollecitando l’intervento militare da parte di re Filippo Augusto di Francia. Vista la scarsa collaborazione del re e della nobiltà locale, spesso di discendenza sangreal, Innocenzo III incarica l’abate di Citeaux, Arnaud-Amaury di arruolare un esercito. In cambio dell’impegno di partecipare alla crociata, per un minimo di quaranta giorni, il Papa garantisce l’assoluzione da tutti i peccati commessi nel passato e quelli che sarebbero stati commessi durante la crociata. Per favorire ulteriormente il reclutamento, ai crociati è concesso il diritto di appropriarsi dei beni dei catari, principi o contadini che siano. Questa licenza di uccidere e rubare nel nome di Cristo, senza commettere peccato, fa sì che in poco tempo migliaia di mercenari si radunino sotto gli stendardi papali.

Il testo di una canzone crociata, scritta da Guglielmo da Tutele, rivela le intenzioni: “…che tutte le città che resistono diventino carnai…che non si lasci in vita neanche un bimbo appena nato. Così si seminerà lo spavento salubre e nessuno oserà più sfidare la Croce divina”. A Beziers i crociati prendono alla parola il testo: uccidono oltre 20.000 abitanti tra catari e cattolici, quasi l’intera popolazione. Di fronte all’esitazione di commettere il sacrilegio di uccidere anche chi aveva trovato rifugio in una chiesa, l’incaricato del Papa proclama: “Ammazzateli tutti. Dio saprà riconoscere i suoi” .Poco dopo 7.000 uomini, donne, bambini e vecchi giacciono nel sangue, morti o mutilati. Nel 1233 viene istituita la Santa Inquisizione, condotta prevalentemente da monaci domenicani. Per facilitarne l’opera, il successore d’Innocenzo III, Innocenzo IV, incoraggia l’uso della tortura. Inizia così la caccia all’uomo di chi era riuscito a sfuggire all’olocausto. Anche in Italia si vive nel terrore: centinaia di catari lombardi sono arsi vivi nell’Arena di Verona, il 13 febbraio 1278.

Eliminato l’ultimo vescovo cataro del quale si ha conoscenza, Guglielmo Delibaste – arso vivo a Villerouge-Termenes, nell’anno 1321, un velo di “infallibili” dottrine pontificali si stende sull’Europa, opprimendo ogni dissenso spirituale. I Catari sopravvissuti cercano asilo in Catalogna e Toscana, dove sono assorbiti dalle tolleranti società locali. Alcuni scappano nelle lande dei Baroni St. Clair di Roslin, nella Scozia. Altri fanno perdere le loro tracce nella clandestinità. Già prima della caduta della principale fortezza, Montsegur, festeggiata con oltre 200 roghi, molti catari si erano uniti ai Templari, un ordine di monaci-guerrieri, che non aveva partecipato all’eccidio. Ma il rifugio templare durerà per poco e non molto dopo sarebbe toccato a loro allungare le liste delle vittime dell’Inquisizione. Oggi rimangono solo poche tracce di questa religione; nessuna chiesa, statua, affresco od oggetto liturgico. Nello spazio dove vissero i Catari troviamo alcuni rari simboli, di difficile interpretazione, castelli sventrati e le croci erette dai vincitori nei Prats dels Cramat, nei Campi dei Bruciati.