IL CERVO

Portrait of majestic powerful adult red deer stag in Autumn Fall forest

Indugiando sul sentiero illuminato dalla luna piena, tra il Cielo e la Terra, avanzando con passo leggero tra il “qui” e il “non qui”, con il muso rivolto all’indietro, questo cervo, di un bianco splendente, fa da ponte tra il mondo terreno e quello spirituale, incarnando il regno simbolico ed intermedio dell’anima verso cui il cervo vuole condurci.

Manto vellutato, muso teneramente umido, occhi castani luccicanti sotto le lunghe ciglia, zampe snelle ed aggraziate: la natura del cervo è espressione di purezza e sublimità.

Accanto al trono del Buddha, è spesso raffigurata una coppia di cervi. Lo stesso Buddha in una vita precedente, si era reincarnato in un cervo dorato dalla voce melodiosa, la cui missione era calmare le passioni degli umani sprofondati nella disperazione e condurli l’ottuplice sentiero.

La sua prudenza leggiadra, i balzi eleganti, le apparizioni improvvise e le rapide sparizioni, collegano questo animale al Mercurio alchemico, la sostanza psichica che fa da intermediaria nella trasformazione, ma anche ai sentieri tortuosi e indiretti del pellegrinaggio o dell’iniziazione, che cambiano costantemente direzione o, come il cervo, spariscono all’improvviso.

Il misterioso rumore di zoccoli che, di tanto in tanto, sentiamo nel sottobosco ai lati di un sentiero tortuoso, appartiene ad una creatura nascosta che ci insegna a percorrere il nostro cammino con placida riverenza verso l’invisibile e l’ignoto.

Il cervo è venerato in tutto il mondo per i suoi palchi alti, simili a rami, che si rinnovano ogni anno, simbolo della fertilità, della rigenerazione e della rinascita, del passare del tempo e dei flussi e riflussi della crescita spirituale.

Ogni inverno i palchi cadono per poi ricrescere in primavera con una ramificazione in più, ad indicare l’aumento dell’età e della forza.

Con l’autunno hanno perso il morbido velluto e i cervi si preparano alla stagione degli amori.

Espressione della virilità, i richiami imperiosi, i bramiti fragorosi ed il rumore dello scontro delle corna dei maschi in competizione, sono udibili a chilometri di distanza: il trionfatore avrà il diritto ad accoppiarsi con una dozzina di femmine. Dopo una gestazione che dura tutto l’inverno ed il parto avviene in primavera, la femmina affamata si allontana per pascolare, lasciando il cucciolo inodore ed immobile, rannicchiato tra l’erba alta, reso invisibile dal manto mimetico pezzato. Il cerbiatto poi inizierà a seguire la mamma, imparando a muoversi, ad esplorare e a nascondersi in piena luce.

A differenza di pecore e capre, con la loro natura gerarchica e perciò domabile, il cervo, più solitario, sfuggente e territoriale, riluttante a vivere in spazi confinati, non è facilmente addomesticabile, il che suscita in noi soggezione e rispetto sin dai tempi antichi.

Dall’Europa antica al Giappone medievale e al Nord America degli indiani nativi, i cacciatori acquisirono una conoscenza dei movimenti dei cervi tale da far nascere la credenza che queste creature potessero spostarsi da un mondo all’altro con un agile balzo.

Il dio celtico degli animali della foresta, Cernunnos, adornato di palchi frondosi, radunava le anime dei morti per scortarle nell’aldilà, accompagnato dalla dea della caccia Flidass che, come la sua controparte greca Artemide guidava un carro trainato da cervi.

Collegando il cervo ai misteriosi passaggi di nascita, morte e trasfigurazione, i miti narravano di femmine di cervo gravide che nuotavano fino all’isola di Artemide, la Madre Cerva, per partorire, oppure del cacciatore Atteone trasformato in un cervo, poi sbranato dai suoi stessi segugi, come punizione per aver spiato la dea mentre faceva il bagno.

Di fatto esiste un’equivalenza inconscia tra il cacciatore ed il cacciato.

Esiste una leggenda cristiana che racconta di un cervo che si era addentrato nel fitto bosco per avvicinare un soldato che lo stava cacciando. Il cervo poteva “cacciarlo mentre lui lo cacciava”. Alla fine, il soldato si troverà di fronte al crocifisso, spuntato miracolosamente tra il palco dell’animale.

Così, il cacciatore e la caccia sono nel fondo segretamente identici: il cercatore e la meta spirituale ed il cammino che porta ad essa, sono tutt’uno.

By SaraMaite

Il nome di questo animale ci viene dal latino cervus: parola dalle origini assai lontane, risalente a un’antica forma indoeuropea *ker-wo– (che è ampliamento in -u di *ker, “testa”), attestata in più aree, ossia in quella celtica (gallese carw, cornico carow, bretone karo), germanica (antico alto tedesco hiruz), baltica (prussiano sirwis, “capriolo”) e greca (xeraós, “cornuto”).

«Dal nome del cervo», spiega inoltre Francisco Villar, «deriva poi la parola castigliana cerveza (in francese antico cervoise, in italiano antico cervogia) “birra”, entrata in latino come cervesia (e cerevisia) attraverso le Gallie. La birra era così designata per il colore biondo, che ai Galli doveva evocare il colore del cervo».

Si tratta senza dubbio di un animale assai importante per noi Indoeuropei, tanto per quanto riguarda gli aspetti linguistici quanto per i significati che al cervo si sono associati. Infatti, esso è uno degli animali fondamentali della proto patria nordica che i nostri antichi progenitori abitarono in epoche remote, prima della diaspora e delle numerose migrazioni che li portarono a popolare buona parte dell’orbe terracqueo. Sin dai tempi antichissimi, in quell’area circumpolare il cervo era significativamente associato col simbolismo del sole e della luce, come recita l’Edda: «Da Sud vidi il cervo solare muovere – i suoi piedi stanno sulla terra – ma le corna raggiungono i cieli».

Questa importanza centrale del cervo è stata spiegata egregiamente da Adriano Romualdi, un profondo studioso della preistoria indoeuropea: egli identificò il cervo con l’animale dei cacciatori del Nord, contrapposto nel simbolismo al toro, elemento della forza cieca generatrice e tipico delle precedenti civiltà matriarcali. Lo scontro tra i due opposti simbolismi, tanto chiaro in Irlanda, in Scandinavia, in Val Camonica, è la raffigurazione nei simboli di due civiltà e anche di due diversi principi, e il cervo in questa contrapposizione assume l’emblema di animale tipico della civiltà indoeuropea. Scrive Romualdi: «Dietro a questo urto di simboli, dietro all’espansione dei popoli dell’ascia da combattimento e alla diffusione dei linguaggi indoeuropei, si cela un avvenimento di grande importanza spirituale. È il principio paterno che si urta contro la “civiltà della madre”; la virilità olimpica contro il mito taurino e materno della fecondità; l’ethos delle “società degli uomini” contro la promiscuità entusiastica dell’antico matriarcato».

Non stupisce dunque la grande diffusione e importanza di questo animale nelle mitologie indoeuropee: dalla Grecia, ove era consacrato a dei della purezza e della luce (Apollo, Atena, Diana), all’India, in cui rappresenta la cavalcatura del dio del canto Vayu. Nella cosmologia scandinava i quattro cervi sull’albero del mondo rappresentano i quattro venti; nel mondo celtico esistono veri e propri dei-cervi (p. es. Cernunnos) e divinità che conducono carri trainati da cervi; ancora oggi chi visiti in Irlanda luoghi come Coole, nella contea di Clare, rimarrà colpito dal senso di profonda reverenza e rispetto che vengono tributati dagli abitanti a questi stupendi animali.

Autore: Alberto Lombardo

Il cervo è uno degli animali e dei simboli più importanti nella cultura celtica, che ne ereditò forse il valore della precedente tradizione pre-indoeuropea e che successivamente lo passò alla religione cristiana.

Questo bellissimo animale era considerato un essere spirituale appartenente alla Dea Madre ed era associato a un culto della fertilità più terreno che celeste, anche se nel suo simbolismo non mancano elementi solari.

I palchi di cervo erano una delle caratteristiche più tenute in considerazione perché, rinnovandosi periodicamente, lo rendevano il simbolo della vita che ringiovanisce di continuo, della rinascita e del corso della tempo.

Questo ne faceva un degno rappresentante della Vita interpretata come divinità e del rinnovo della natura, incarnata spesso sotto le figure di dee e dei. Il cervo, infatti, era abbinato alla figura del Dio Cernunnos, uno dei più antichi dei celtici che sembra essere stato già invocato dalle popolazioni europee del Mesolitico e del Neolitico, dio che la tradizione cristiana utilizzo, insieme a Pan, per forgiare l’immagine del Diavolo. Cernunnos ha corna di cervo che gli svettano sul capo e tiene in mano un torque (simbolo di regalità).

Nell calderone di Gundestrup (risalente al I secolo a.C.), In una placca d’argento che è una delle tante che compone il calderone, Cernunnos è seduto in tutto il suo splendore, circondato da simboli di fertilità e abbondanza, accompagnato da cervi, serpenti e cinghiali.

Nella Tradizione celtica i cervi erano detti “tori delle fate” o “bestiame della Dea” e la stessa definizione di “bestiame di Flidais” veniva data ai cervi che trainavano il carro della dea e le correvano attorno. I cervi erano perciò considerati gli intermediari fra il mondo degli Dei e quello degli uomini.

Infatti in molte storie, comprese le saghe arturiane, accade che mentre l’eroe si reca a caccia, o mentre passeggia in luoghi incantevoli della Natura, incontri un cervo (di solito di colore bianco) inviato dalla fata per attirare l’eroe nel proprio regno (ma spesso non è che la fata stessa sotto mentite spoglie).

Naturalmente l’eroe del racconto si innamora al primo sguardo della fata, bellissima e riccamente vestita, sovrana del regno fatato. I due sono felici. Il tempo passa, l’eroe si dimentica del mondo umano di cui faceva parte.

Prima o poi, la nostalgia lo assale e con essa il desiderio sempre più prepotente di tornare a rivedere parenti e amici.

Il tempo è differente nel regno delle fate. L’eroe crede di vivere nel regno fatato da un paio di settimane, al massimo da un mese. Non sa che intanto, nel mondo degli uomini, sono passati anni e anni, a volte anche secoli.

L’eroe ottiene dalla fata il permesso di tornare nel suo mondo. Non se ne andrà per sempre, è sottointeso, ma quanto basta per riallacciare i fili dei suoi antichi affetti.

La fata gli concede il permesso ma, per assicurarsi che il suo amato ritorni sul serio, giovane e bello come essa l’ha conosciuto, gli impone un divieto e quindi un patto: una scatolina d’oro che non si deve aprire mai ed il divieto di scendere da cavallo.

Il divieto racchiude il segreto del tempo: se non viene rispettato gli anni in cui l’eroe è vissuto dal mondo mortale gli ricadranno addosso tutti insieme.

A eccezione di poche, le fate in genere non avvertono l’eroe della peculiarità del divieto. Mettono alla prova la sua lealtà, la quale quasi sempre è tutt’altro che ferrea. Anche nei rari casi in cui l’eroe viene amorosamente avvertito del pericolo che correrebbe, la trasgressione avviene puntualmente.

Pur essendo stato avvertito dalla sua fata che erano passati tutti quegli anni dal giorno in cui l’eroe aveva lasciato il mondo dei mortali. Il giovane insiste per tornare al suo villaggio. La fata gli impone il divieto di scendere da cavallo. Mentre il bel destriero dell’eroe sta trotterellando sulla strada di casa, un vecchio che sta conducendo un carro si accascia a terra, e il carro rischia di cadergli addosso, schiacciandolo. L’eroe si dimentica in un lampo del divieto della fata, tutto preso dalla pena che prova per il poveretto. Balza da cavallo, corre vicino al vecchio per soccorrerlo. In quel momento, il vecchio si alza di scatto in piedi, agile e forte come un giovanotto, afferra l’eroe per la gola soffocandolo.

Era il tempo che gli restituiva tutti i suoi anni con un inganno.

Da questa storia si può capire che i cervi, per questa loro particolare funzione, furono anche visti come accompagnatori delle anime nell’Altro mondo (come la renna ed il capriolo) e, in questo senso è associato a Samhain, momento in cui le “porte” dell’Altro mondo si aprono per lasciar passare in questo gli esseri fatati del sidhe, o permette agli umani di accedere ai reami di luce.

Il cervo maschio era simbolo di rapidità, prestanza, agilità e vigore e nella sua figura di maschio combattente, di capo branco e solitario corridore rappresentava il guerriero, il capo clan o il cavaliere solitario. Il cervo incarnava una forza in sintonia con i ritmi della natura nell’avvenimento annuale della perdita e della ricrescita delle sue corna, più possenti delle precedenti.

Vita-Morte-Rinascita erano il ciclo della vegetazione, il Canto della Vita che faceva il cervo e delle sue corna un potente simbolo di speranza, di longevità e abbondanza, un’importante figura dell’aspetto del divino della Natura(Cernunnos)che, pur appartenendo al regno animale, viveva un fenomeno vegetale. I Celti perciò usavano molti talismani in corno di cervo per evocare le qualità dell’animale e la sua pelle e i suoi palchi venivano adottati come ornamenti e indumenti rituali.

La femmina del cervo, invece, rappresentante del principio femminile, possiede leggerezza, fiuto e grandi capacità di mutare forma e ha il ruolo di condurre il cacciatore nel profondo della foresta dei misteri.

Infine, ancora più è la figura del cervo bianco. Nel nostro tempo molte volte è stato visto e fotografato il famoso Cervo Bianco dell’Isola di Arran, su cui, secondo la tradizione, Colite dei Fianca scrisse il poema Arran dai Molti Cervi.

Il cervo bianco è associato al dio Lugh e alla luce segreta del sole, simbolo dell’iniziato ai misteri della vita e della morte, di colui che ha superato le prove di trasformazione e rinnovamento della propria personalità, ottenendo la conoscenza. In effetti in moltissime tradizioni questo animale, soprattutto di colore bianco, è simbolo del sole nascente che raggiunge lo zenit, è il mediatore tra cielo e terra, il messaggero divino.

http://www.nemetonruis.com/cervo1.htm

Il Cervo è il simbolo della rigenerazione vitale. Per il rinnovarsi periodico delle sue corna, che sono paragonate anche ai rami degli alberi, assumono un valore allegorico di sviluppo e di unione tra le forze superiori e quelle inferiori. Quindi le corna del Cervo si ergono a simbolo della longevità e del ciclo delle rinascite successive. Nella leggenda greca di Ciparisso, la morte del Cervo è all’origine del Cipresso, simbolo dell’immortalità e dell’eternità.

Da tempi antichissimi nell’area circumpolare il Cervo è associato al simbolismo del Sole e della luce, incarnandone gli aspetti di creazione e civilizzazione. Il Cervo è contrapposto nel simbolismo al Toro, elemento della forza cieca generatrice e tipico delle precedenti civiltà matriarcali. Il Cervo, in questa contrapposizione, assume l’emblema di animale tipico della civiltà indoeuropea. È il principio paterno che si scontra con la “civiltà della madre”; la virilità olimpica contro il mito taurino e materno della fecondità. In Grecia il Cervo era consacrato agli déi della purezza e della luce, come Apollo e Athena. Nella tradizione germano-scandinava, il Cervo riveste un carattere negativo, visto come principio malefico poiché tenta di distruggere l’albero originario. Secondo una leggenda quattro Cervi brucano incessantemente i nuovi germogli del Frassino Yggdrasill, per indebolirlo e impedirgli di crescere rigoglioso.

http://www.mitiemisteri.it/esoterismo/animali/cervo.html

Significato simbolo totem Cervo

Quando incontriamo il cervo in natura, il nostro respiro viene catturato è come se si mozzasse o rallentasse per la bellezza e la maestosità dell’animale davanti al quale ci troviamo, pieno di grazia e dai movimenti delicati, la tenera bellezza di queste bestie non è passata inosservata dai nostri antenati, oltre al fatto che se ne cibavano. Il cervo è legato alle arti, in particolare alla poesia e la musica nell’antica tradizione celtica a causa della sua forma aggraziata.

I Celti credevano anche che il cervo fosse associato con il regno delle fate e portasse truppe di fate quando il cervo tagliava per la foresta velocemente. Sia i Celti che i nativi americani osservarono il cervo perché videro quanto esperto fosse questo animale nel trovare le erbe migliori. Molti di queste popolazioni avrebbero seguito il cervo durante il suo pascolo per imparare quali erbe mangiare o da usare per curarsi dalle malattie. Ciò che segue è un rapido elenco delle qualità del totem cervo che aiuteranno il lettore alla comprensione di questo splendido animale:

Sintesi dei significati simbolici per il Cervo

 

Amore

Grazia

Pace

Bellezza

Fecondità

Umiltà

Velocità

Ricrescita

Creatività

Spiritualità

Abbondanza

Benevolenza

Vigilanza

Come si traduce questo nella nostra propria esperienza di vita? Proprio come il cervo ha quella spinta interiore per cercare la terra più verde e migliore anche voi se avete questo totem come animale guida, cercate continuamente i vostri tesori nascosti; nella meditazione o durante il sogno, cercate di unirvi al vostro totem cervo, che vi condurrà nelle profondità della vostra anima, non per nulla era uno degli animali più usati dagli sciamani di certe tribù, oltre al cavallo, l’orso e l’aquila.

Il cervo (in particolare la cerva, la femmina) ha la capacità di dare infinita generosità. Il loro cuore pulsa al ritmo delle onde morbide della gentilezza, partite quindi nel viaggio interiore donando piena fiducia al cervo e lui vi ricompenserà con la più potente delle medicine spirituali. In Cina il cervo è simbolo di felicità e fortuna, infatti, il suo nome in cinese è un omonimo per la parola abbondanza.

Significati simbolici del cervo:

L’alba

La Luna

La direzione dell’Est

Possiamo onorare il cervo durante la luna piena per migliorare o far emergere alcune delle qualità del cervo all’interno di noi stessi, alla stessa maniera lo possiamo onorare rivolti a Est nel mondo dell’alba così da ricevere la sua energia magari facendo appena un cenno con la testa per salutarne la forza che nasce.

SCRITTO DA ENRICO SANTARATO

Secondo le tribù indiane americane il cervo rappresenterebbe l’amicizia e l’amore legato al desiderio che consuma e guida gli atavici desideri quelli che non permettono di fermare ciò che si sente ma di raggiungere lo scopo dell’accoppiamento anche rischiando di morire nel tentativo.

La sua fisionomia da quanto riportano gli insegnamenti nativi, sembra indicare che il cervo non stia così attento a riconoscere la parte bianca o quella nera ma le compenetra entrambe per arrivare allo scopo usando ciò che conosce per i suoi scopi. L’amore che riesce a generare il cervo ha il potere di sanare ogni ferita passata o presente in chi è fatto oggetto delle sue attenzioni, cercando di levare dai guai la persona che sta passando in cattive acque.

Se il cervo si presenta nei sogni personali porta il messaggio di amare gli altri nonostante i difetti del carattere o delle azioni non proprio positive nei propri confronti, lasciando da parte le nostre aspettative giacché nessuno deve essere costretto ad essere ciò che non è ma solamente amato per quello che è.

Un’altra lezione che possiamo apprendere dal cervo è di mantenere intatta la nostra attitudine spirituale, orientarla sempre verso il bene senza lasciarci influenzare da persone o situazioni negative, lasciandole sciogliere nell’aria da sole, mantenendosi cordiali e fiduciosi anche nelle situazioni più difficili, solo così l’energia divina sarà aperta.

http://indianiamerica.it/totem-animali/cervo-totem-significato

 

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