I GUARITORI DI CAMPAGNA

guaritriceRelazione sul libro di Paola Giovetti “I guaritori di campagna. Tra magia e medicina”, Mediterranee Edizioni.

Questo libro riporta una delle prime inchieste di Paola Giovetti, che comparve inizialmente come una serie di articoli pubblicati sulla Domenica del Corriere negli anni ‘80, poi raccolti in un libro, che fu ripubblicato più volte, anche perché è unico nel suo genere e fu anche usato come testo di lettura all’università di antropologia di Roma.

Le cose dagli anni ’80 non sono cambiate poi molto. Tradizioni antichissime sono tutt’ora operanti, specie nel Sud, in Emilia Romagna e in Sardegna, anche se un tempo erano più diffuse, perché nelle campagne la medicina ufficiale non arrivava o, se arrivava, era troppo costosa. Pertanto molti ricorrevano a questo tipo di cura a carattere magico-religioso, in cui le cause delle malattie erano fatte risalire a malocchi, fatture, oppure a un evento che veniva chiamato (l’anima caduta) e implicava la caduta delle difese organiche per cui il corpo si ammalava.

Intervenivano allora riti antichissimi, pagani o sciamanici, a cui i tempi avevano sovrapposto santi cristiani, ognuno dedito alle proprie guarigioni specifiche, ognuno adatto a curare certi tipi di disturbi.

Come si designano i guaritori?

Importantissimi nel rito le parole magiche come i gesti rituali, che erano segreti e non si potevano riferire salvo che a persone adatte, scelte dal guaritore, spesso nella sua stessa famiglia, a cui veniva trasmesso, la vigilia di Natale, il sapere segreto.

La scelta dei successori avveniva in genere in base a caratteristiche personali di empatia e di umanità, e nessuno di loro chiedeva soldi. A volte vogliono che si metta una candela alla Madonna. A volte sono pagati in natura. Alcuni di loro vanno a fare le loro segnature anche lontano e magari tornano a casa con due uova.

Come fa uno ad accorgersi di essere un guaritore?  Molti vengono designati alle guarigioni in quanto nascono con la camicia, nascono (vestiti) dal sacco amniotico. La levatrice stabilisce così che il nascituro diventerà un guaritore e sarà capace di guarire una certa malattia.

Ci sono guaritori che portano sempre con sé il sacco amniotico come fosse una reliquia. Uno lo perse in un bombardamento e considerò la cosa una vera tragedia personale. Sembra che col tempo esso si secchi come una pergamena.

La levatrice poteva mettere in mano al bambino nato con la camicia dei chicchi di grano o dei fiori o del carbone e dedicarlo a un santo particolare, insegnando alla mamma le frasi rituali che avrebbe poi passato al bambino, una volta cresciuto. Nei primi anni era la madre col bambino in collo a segnare, poi sarebbe stato lui.

Poteva essere scelto come guaritore anche (il settimo), cioè il nato maschio dopo sette figlie femmine.

Una volta fatta la scelta, che poteva avvenire in seno alla stessa famiglia del guaritore precedente, le parole rituali gli venivano trasmesse la vigilia di Natale (solstizio d’inverno, che indica la forza che riprende).

I riti sono basati sulla magia simpatica, di tipo analogico (rami di fico, steli di grano… dai tempi più antichi il fico è considerato l’albero del demonio. Si dice che Giuda si impiccò a un albero di fico). Si pensa di poter trasferire la malattia sul ramo di fico e questo poi sarà bruciato o distrutto portando il male con sé.

I riti si compiono a digiuno e sono poi ripetuti secondo il numero tre, numero che è presente anche nelle fiabe e appare come cifra sacra e simbolica. Possono comprendere segni di croce e vengono fatti con luna calante (l’energia della luna è sempre stata importante per lo svolgimento del rito: con luna crescente si fanno i rituali di accrescimento, con luna piena si raccolgono i risultati e si rafforzano la volontà e il potere, con luna calante si fanno rituali di distacco e allontanamento, con luna nuova si iniziano cose nuove).

Cosa curano i guaritori?

In genere disturbi comuni, come storte, sciatica, vermi, bruciature, fuochi di S. Antonio…anche allergie; non curano solo gli uomini ma anche gli animali, perché in passato se per i contadini poveri era difficile avvalersi di un medico, figuriamoci di un veterinario…

Come sono?

In genere i guaritori sono persone di scarsa cultura ma di forte personalità e grande calore umano, sono semplici ma molto sicuri di sé, controllati, calmi, tranquilli, con una grande forza interiore, credenti, con una gran fede. Dicono tutti che bisogna (credere) per guarire, perché la fede è alla base di tutto.

Dove si trovano?

Molti di questi guaritori sono in Emilia Romagna. Fanno la (verza), con cui un tempo curavano anche vacche o somari o cavalli.

Si usa un piatto e un pentolino, che una volta era di terracotta ed era sempre lo stesso.  Arriva uno che si è fatto male a una gamba. La guaritrice bolle l’acqua nel pentolino e la versa sul piatto Se il calore risucchia l’acqua, il malato ha solo una storta che si può curare, sennò ha una rottura e viene mandato all’ospedale.

Anche qui nel rito compaiono le crocette fatte con fili di grano legati e di queste crocette se ne mettono 3 o 4 nell’acqua. Con queste crocette il guaritore segna la parte malata, borbottando le sue formule segrete.

Il malato deve tornare tre volte di seguito. Più è lontano il momento della storta, più avrà bisogno di giorni per guarire.

Tutto questo sembra bizzarro, eppure dai guaritori ci sono andati anche intere squadre di calcio.

I personaggi

Le persone intervistate dalla Giovetti sono molto bizzarre,

In Sardegna zio Palmerio cura i porri. Li unge con grasso di pecora dicendo formule magiche e caccia poi questo grasso in un fosso, gettando così via il male. Tanto tempo ci mette il grasso a sciogliersi nel fosso, tanto tempo ci vuole al porro per guarire.

Il rito sardo per curare la sciatica si fa con tre rami di fico, sempre in luna calante. Il guaritore passa i rami di fico lungo la gamba affetta da sciatica e ripete l’operazione per tre giorni di seguito. Poi brucia i rami di fico.

Da zio Palmerio vengono malati anche dal continente ed è considerato infallibile.

C’è anche il sindaco di un paesino sardo che toglie il malocchio. Qualsiasi problema può essere addebitato al malocchio: la vacca che non figlia, l’albero che non fa frutti, il grano che viene male, i pesci che non si fanno pescare….

Il guaritore sindaco usa una antica medaglia che butta nell’acqua assieme al sale e ascolta il suono che fa. Se fa (clock), allora c’è il malocchio.

Le ritualità possono essere di ogni genere. I mezzi usati sono l’acqua, il carbone, il grano, l’olio, i fiori…

Nel napoletano c’è un rito che cura (il giallo), cioè i mali del fegato, o (a meuza) la milza. Per i mali della milza si ritaglia dalla corteccia di un albero una forma grande come un piede che poi si distrugge. Si fa questa cosa per tre volte in giorni successivi. La corteccia porta il male con sé.

Per il fegato si usa un fiorellino giallo sempre per tre giorni. Si mettono i petali nella calza, così il giallo del fegato passa nella calza e il fegato guarisce.

A Sarsina si usano fiori, chicchi di grano, cuoricini con dentro le reliquie. Questi oggetti sono messi nelle fasce dei neonati così che il prete, senza saperlo, li benedice quando benedice il bambino e il guaritore può portarli con sé.

Una cura che forse le vostre nonne vi hanno fatto è la cura dell’orzaiolo, che viene (cucito), a volte con l’ago che non c’è e il filo che non c’è, oppure con una simulazione con ago e filo vero, e sparisce: “Scappa, orzaiolo, che te lo cucio”.

Ad Arezzo, Borghini cura le bruciature con un metodo aggressivo, le brucia di nuovo con un fiammifero e così guariscono in pochissimi giorni. Strano ma vero.

C’è anche una lieve signora che cura il mal di schiena facendo stendere i pazienti sul pavimento a pancia in già e correndo avanti e indietro sulle loro schiene con scarpe e tutto, sempre con le sue parole magiche.

Un guaritore romagnolo, un bidello che si credeva molto fascinoso, curava (le maglie) degli occhi, che sono quei puntini che volte si vedono ballare nelle pupille. Nato con la camicia, l’aveva conservata tutta la vita portandola con sé. Prende un gomitolo di lana e dei ferri da calza e monta sul ferro tante maglie quante sono i pallini nell’occhio, poi dice: “Ora dovrò fare un brut guel” (ora dovrò fare una brutta cosa) e sputa nell’occhio. Alla Giovetti disse, convinto del suo potere magnetico: “Lei non sarà capace di reagire ai miei occhi”. Ma la Giovetti piuttosto cercava di evitare lo sputo.

Bianca Gallesi cura (le storte a distanza). Prende uno stelo di grano, guarda dove ha i nodi e individua il punto della gamba dov’è la storta, e fa lì i suoi riti di guarigione sempre a distanza.

I vermi dei bambini

Qui in Romagna hanno un rito bellissimo che chiamano (Al simiot), lo scimmiotto.

In passato capitava spesso che i bambini piccoli fossero denutriti, magrolini, pallidi, (color del mu ro).

E andavano dalla guaritrice che faceva un rito stupendo: preparava della pasta da pane, la divideva in tre panetti, segnava la croce sopra. Ogni mattina scioglieva uno di questi panetti nell’acqua e con questa pasta sciolta e olio ungeva il bambino, passandolo davanti al caminetto. Per due giorni la madre doveva vestire il bambino mettendogli tutti i vestiti a rovescio. Alla fine del terzo giorno il bambino stava meglio. Forse anche ungerlo con la pasta di pane e l’olio lo fortificava. Forse la madre fatta più serena lo accudiva meglio con la sua energia.

Guaritori

Paola Giovetti fu (iniziata) a Soliera da Nerina, donna di una fede grandissima che una vigilia di Natale volle per forza trasmetterle le parole magiche per guarire le bruciature e i vermi e le passò (la verza).

Soliera è un Comune rosso, ma lei diceva: “Sono tutte comuniste, ma quando stanno male, la fede ci viene”.

Un sito suggestivo per le guarigioni è a Cancelli (Foligno), dove vive una sola famiglia: i Cancelli, in cui tutti i maschi sono guaritori. Guariscono la sciatica secondo una tradizione famigliare antichissima di 2000 anni che risale ai santi Pietro e Paolo.

Sembra dunque che i due santi passarono di lì e furono ospitati dagli avi della famiglia Cancelli, che erano carbonai, e che, malgrado la loro povertà, divisero con loro il poco cibo che avevano. Per ringraziarli, i due santi fecero loro il dono di guarire la sciatica, un dono che vien ereditato di padre in figlio. Ora al posto di quella primissima abitazione c’è una cripta dedicata ai santi Pietro e Paolo.

Ma la famiglia Cancelli ha anche una dispensa vescovile col permesso del Vescovo di Foligno per poter andare a curare la sciatica anche fuori del loro territorio, così i maschi della famiglia andavano in tutte le parte d’Italia.

Pio IX aveva saputo della loro fama e siccome soffriva di sciatica, li mandò a prelevare. Così un giorno l’uomo dei Cancelli trovò le guardie del Papa che lo presero, sporco di carbone com’era, e lo portarono a Roma, nel palazzo del Papa, lo lavarono e rivestirono e andò a curare Pio IX. Si dice che il Papa gli chiese: “Cosa devo fare io mentre mi curi?” “Santità abbiate fede!” rispose il Cancelli.

Quando la Giovetti andò a Cancelli, c’erano in famiglia tre uomini, tra essi anche un bambino e sarebbe diventato un guaritore pure lui.

Molti guaritori risanano il Fuoco di Sant’Antonio con segnature o con crocette fatte un tempo col carbone. Oggi si usa la biro dicendo: “Non uscire da lì”.

Ci sono stati anche guaritori che cambiano il tempo, per esempio allontanando dal proprio campo i nuvoloni carichi di grandine e mandandoli a scaricarsi sui campi vicini.

Gli antropologi si sono interessati a questo libro. I riti sono stati definiti “antropologia della medicina”.

Qualcosa di questo antico mondo sopravvive anche ora ed è un patrimonio da salvare. La scienza moderna non ha mai esaminato a fondo la tematica della magia.

Non sappiamo a chi attribuire le guarigioni. Può darsi che alcuni di loro siano pranoterapeuti. Certo ci sono forti legami tra mente e corpo.

Certo è che alcuni riti sono molto belli e i guaritori sono anch’essi figure molto belle, con grande carisma personale e una grande umanità.

La suggestione del rito a cui il paziente crede con gran forza suscita qualche fattore ignoto della nostra psiche. E’ questo che dovrebbe essere studiato. Perciò gli antropologi parlano della necessità di recuperare i saperi perduti per capire il meccanismo di rigenerazione della vita.

 

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