Uno studio e considerazioni sull’Alzheimer

alzheimer1Da: http://www.inavigatori.it/varie/elisabetta/studio_alzheimer_050605.htm

Mie considerazioni… fin qua la parte scientifica, che mi ha permesso di astrarmi, di evitare la sofferenza che questa malattia porta con sé.

 

Secondo me non è vero che il malato cambia, si libera piuttosto di ogni copertura e può sembrare diverso a chi lo ha conosciuto, perché, per la prima volta, è se stesso senza falsità, senza ipocrisie.
Vive in un mondo primitivo, dove il linguaggio non è verbale, ma sensoriale, è come un bambino che, subito dopo la nascita, comunica solo con versi, suoni, pianti, strilli, deve essere accudito in tutto e per tutto, dipende dagli altri per la sua sopravvivenza e sente sulla pelle con i sensi chi lo ama. E’ un cammino a ritroso. Dopo la nascita un bambino, a mano a mano che cresce, perde il contatto con quel Sé che lo ha fatto vivere e che viene soffocato ogni giorno di più dall’ Io. Ad un certo punto della vita, quando si affaccia anche in lontananza la vecchiaia, a qualcuno forse, o geneticamente predisposto, o per una qualunque delle situazioni riferite nelle pagine precedenti, succede una ribellione di quel Sé soffocato ed avviene l’esplosione. Abbiamo studiato che l’universo è nato dal Big Bang: era un qualcosa di infinitamente piccolo che è diventato, e sta diventando, infinitamente grande. Io credo, come dice il fisico D. Bohm, che il cervello e l’universo siano connessi fra loro e che a chi si ammala accada un processo identico e contrario a ciò che è avvenuto milioni di anni fa all’universo; il cervello sovraccarico di inutile sapere, ad un certo punto implode e, a ritroso nel tempo, perde lentamente tutte quelle capacità che avevano fatto diventare un feto un adulto ed arriva a quel passaggio che noi chiamiamo morte.
Il Sé individuale, che l’Io aveva soffocato, torna finalmente libero al Sé universale; è perciò una nascita ciò che avviene; tutte le religioni in effetti ci parlano della morte fisica come un passaggio ad una nuova vita. Dalle mie statistiche limitate ho notato che si ammalano di Alzheimer persone abitudinarie, legate a stereotipi, che sono valutate dalla società in modo molto positivo: bravi lavoratori, bravi genitori ecc. Non ho trovato che chi è stato definito strambo, chi ha spesso giocato la sua vita, chi ha accettato l’imprevisto si sia ammalato di questo morbo. Mi sembra quasi che l’universo attui una specie di selezione naturale crudele: se gli uomini che immagazzinano nel cervello una quantità inverosimile di conoscenze inutili le tramandassero ai posteri, un po’ alla volta potrebbe avvenire un mutamento genetico che farebbe nascere sempre di più esseri conformi alle regole e la gioia, lo stupore, la curiosità sarebbero sempre più rari. Ecco allora che per “salvare l’umanità” è necessario che alcuni (i più deboli, i peggiori, i migliori?) soccombano. L’energia dell’universo che non riusciva più a fluire in quel cervello, per poterlo ricontattare, è costretta a distruggerlo. E’ un cammino simile, anche se opposto a quello di una formazione tumorale. Il tumore è una nascita, è una riproduzione impazzita di cellule che non hanno un fine e che distruggono il corpo. L’Alzheimer riproduce in modo abnorme una proteina che imprigiona le cellule impedendone il funzionamento e distruggendo quindi la mente. Il tumore non è da parte del Sé una condanna a morte, c’è un appello. Il messaggio è violento, pauroso, ma se lo capisco posso salvarmi, con l’Alzheimer non è possibile. E’ come se il Sé decidesse che devo solo morire ed è una morte molto lenta, come lo è una crescita, lentamente ritorno bambino, ho bisogno di essere accudito, perdo la capacità di parlare, perdo il movimento autonomo, finché ritorno ad essere un feto che si rannicchia su sé stesso su un letto, ma i profumi, l’amore, le carezze, la luce, sono sicura che sono percepiti fino in fondo. Se fosse possibile accedere ai sogni, forse riusciremmo a capire ciò che per il momento è incomprensibile! La sofferenza dei malati è frutto dell’angoscia di morte che occupa quello che rimane dell’Io. Il Sé è immortale, non gli interessa che un raggio della sua grandezza viva tanto o poco, il tempo è solo una nostra invenzione e quindi tanto e poco sono parole vuote prive di significato a livello universale. La morte tuttavia è il pensiero dominante sia di chi assiste l’ammalato che dell’ammalato stesso, almeno finché si rende conto della strada che ha intrapreso. Forse questo avviene perché si è dimenticato il significato della morte vista come un passaggio. Dice P. Speciani: “Oggi non siamo più abituati a considerare il corpo come un evento transitorio, periferico e mutevole e il termine della vita fisica assume per noi un valore assoluto. Non è stato però sempre così. Come riferisce Mircea Eliade, il primitivo neandertaliano predisponeva i suoi morti in posizione fetale, simbolicamente pronti alla nuova rinascita.” Mac Lean afferma che il cervello umano è dato dalla sovrapposizione di tre cervelli: dei rettili, dei mammiferi, dell’uomo, e questi corrispondono alle tre tappe evolutive. Il programmatore sconosciuto possiamo appunto chiamarlo Sé. Una visione un po’ materialistica struttura la vita come simbolizzata da un “tesoro”, dal quale quotidianamente si toglie qualcosa. In questo modello la malattia di Alzheimer rappresenta il punto finale, l’espressione di un impoverimento ontologico estremo che, con la perdita dell’intelligenza, ci porta al limite dell’umano: una frontiera dalla quale fuggiamo spaventati. Anche nell’immaginario medico si evidenzia questo simbolo della “frontiera”, proprio perché di fronte a questo morbo falliscono i fondamenti della medicina: la diagnosi è sicura solo se ottenuta sul reperto anatomico; la terapia, sino ad oggi, assolutamente inefficace. L’osservazione, nel trattamento della demenza, evidenzia un soggetto che, nella sua dimensione distaccata e solitaria, diventa la “persona scrigno” che contiene la verità e rappresenta un “mondo da scoprire”. La demenza obbliga a ritrovare una dimensione “prettamente umana”, fondata sulla relazione che, non più solamente verbale, deve utilizzare l’intelligenza, la fantasia, l’intuizione, l’empatia, l’emozione e l’affettività: sorridere, accarezzare, scherzare, abbracciare, accompagnare sono gli elementi di una nuova osservazione-relazione. A questo punto il paziente Alzheimer si pone di fronte alla società come una sfida a cambiare il punto di vista ontologico e culturale. Il demente non può più essere una “frontiera”, l’ultimo gradino della scala della perdita, ma la “persona per la quale siamo decisi a giocare le nostre carte della crescita, dello sviluppo e della vera intelligenza, che è quella, non dell’osservare, ma del conoscere e soprattutto del “conoscere se stesso-uomo-persona”. A questo proposito ho pensato a questa malattia come ad una sorta di cammino iniziatico intrapreso dall’ammalato in maniera estrema. Il cammino sulla Via del Risveglio è lento e difficile; l’obiettivo è la liberazione del Sé dalle tenebre. Bruciare lentamente le scorie, sciogliere e coagulare, agire. L’azione tuttavia porta con sé la paura di agire, di rinunciare ai propri convincimenti, di perdere i punti d’appoggio; d’altra parte come non potrebbero condizionarci la Storia, con tutti gli uomini e tutte le vicende, da Platone a Giuda, che siamo noi, con i nostri archetipi dell’inconscio collettivo? Inizia quindi il distacco da ogni genere di cose: il Sé tende a rifiutarle perché vuole procedere, l’Io piange, grida, fugge perché non vuole abbandonare tutto, essere libero da vincoli per raggiungere il Sé, poiché il prezzo di questa libertà è la solitudine; ecco arriva il Matto dei Tarocchi (Arcano n°0), egli rappresenta l’infinito e tutto ciò che supera la comprensione umana. E’ l’attesa di diventare faticosamente se stessi. Questo simbolo è necessario alla completa evoluzione dello spirito. Per lui esiste solo il vuoto; vive come un feto, immerso nella non-conoscenza. Non conosce verità, gira in tondo per ritrovarsi sempre allo stesso punto. Il suo percorso si perde in un labirinto senza vita, è tutto quello che potrebbe sorgere dalla materia bruta; ecco allora che per raggiungere il Bagatto (Arcano n°1) che rappresenta l’uomo che ha tutti gli strumenti per realizzare se stesso, egli viene dall’infinito e si rivela solo a chi ha intenzione di condividerne il percorso. Egli riceve l’iniziazione alla dottrina occulta, ma deve passare attraverso La Morte (Arcano n°13). Essa promette la trasmutazione, la trasformazione che avviene tramite la rinuncia alla propria apparenza; la natura ha fatto così il suo corso e sta per donargli un nuovo aspetto; quando uscirà dal labirinto, reduce dalla paura della “non esistenza”, si riconoscerà nei germogli della “grande opera”. Eccoci finalmente arrivare alla Temperanza (Arcano n°14), che rappresenta il flusso, il cambiamento di vita, la rigenerazione e il raggiungimento, indica che l’iniziato è diventato un maestro. Non a caso queste due ultime figure sono dominate da Saturno, che simboleggia un processo psichico attraverso il quale un individuo riesce ad utilizzare le esperienze del dolore per una maggiore consapevolezza ed una maggiore realizzazione, infatti Saturno è visto anche come “guardiano della soglia”, e solo in virtù di esso possiamo conseguire la libertà finale; gli esseri umani conquistano il libero arbitrio solo attraverso la scoperta di se stessi e non conseguono questa scoperta finché le cose non diventano così dolorose da non lasciare altra scelta. Saturno è stato considerato dall’ alchimia, l’Alchimista stesso per la sua spinta alla trasformazione. Ecco quindi che la mitica figura di Saturno può essere vista come quella dell’Iniziatore, che in cambio della accettazione di sofferenza (Morte), ci offre una maggiore conoscenza e comprensione di noi stessi, in definitiva la libertà (Temperanza). Questo cammino iniziatico lo vedo comunque come una via da percorrere non solo dal malato, ma anche e forse in modo più consapevole dalla persona (di solito un figlio), che lo assiste. Il cammino di sofferenza che si intraprende è anche un avvertimento: “Anch’io ho la possibilità, senza arrivare alla morte, di liberarmi di tutto ciò che ingombra il mio cervello e mi impedisce di percorrere l’unica via che tutti dovremmo seguire, quella che mi indica il mio Sé”; è forse l’atto di amore più grande che chi è vissuto accanto a noi (nel bene o nel male) possa dare. Anch’io ho la possibilità di cambiare, di tornare bambina con mia madre, di ritrovare con lei un rapporto di gioco, di tatto, di sorriso e tutto questo mi potrà salvare. Forse per debellare l’Alzheimer dovremmo, invece che studiare vaccini e medicinali nuovi, fare ciò che fecero, secondo Nietzsche, i Greci; egli dice: “Appresero gradatamente a organizzare il caos riflettendo, secondo l’insegnamento delfico, su se stessi, ossia sui loro veri bisogni, lasciando perire i bisogni apparenti. Ripresero così possesso di sé, non rimasero sovraccarichi eredi ed epigoni dell’Oriente […] Questa parabola serve a ciascuno di noi. Ciascuno deve organizzare il caos dentro di sé, rendendosi conto dei suoi propri bisogni […]” (da Cons. Inatt.) Ho già detto che gli ammalati sono spesso persone che non hanno lasciato fluire, accadere le cose, persone che hanno lavorato in ambienti dove bisognava parlare molto senza dire nulla (negozi, commerci…). Nel labirinto cerebrale si sono persi la creatività, la semplicità, l’umiltà, la gioia. Cervello ed intestino presentano delle somiglianze: quando c’è un ingorgo di pensieri negativi, posso arrivare ad episodi colitici; se anche nel cervello si creassero espulsioni colitiche, momenti di sana follia, forse non si arriverebbe all’Alzheimer. Un altro organo che viene spesso intaccato in maniera non sempre chiara (i medici definiscono genericamente questi problemi come forme legate ad un sistema immunitario che attacca l’organismo di cui fa parte) è la pelle. Spesso si verificano eruzioni bollose in tutto il corpo; l’analogia mi sembra evidente: l’Io è definito dalla pelle e nel malato di A. il Sé sta distruggendo l’Io, ne intacca i limiti stessi! Inoltre i sistema immunitario, non riconosce l’Io perché forse segue la strada del Sé, che lo ha identificato come da abbattere, ecco quindi che non è vero che il sistema immunitario non funzioni, ma ha fatto un salto di qualità, ed anche a lui l’Io non interessa più. Mi rendo conto di dire cose che potrebbero sembrare deliranti e chi mi legge potrebbe sospettare che un po’ di Alzheimer è arrivato anche nella mia mente, ma sono interrogativi, ipotesi che si affollano e che attendono qualche altro parere. Oggi si parla molto di questa malattia, ma certo è sempre esistita, è probabilmente diventata “di moda” come l’anoressia, la bulimia, l’AIDS ed altre che passano periodi di triste gloria per vari motivi, che potrebbe essere interessante approfondire, sono come mostri prodotti dalla nostra mente, dei quali parliamo molto, troppo, quasi per esorcizzarli, ma in realtà le troppe parole li fanno vivere, e forse li hanno generati (et verbum caro factum est). Carotenuto afferma in “Attraversare la vita”, un saggio sul dolore, che “ci si ammala dell’impossibilità di comporre e di assimilare il diverso” intendendo con questo che dovrei imparare a riconoscere quella che Jung chiama ombra, ovvero quelle parti di me che sono in diretta antitesi con quello che io credo e voglio essere e che pure, in certe situazioni di difficoltà, finiscono per emergere. Talvolta ci si oppone a quest’ombra con una vera e propria lotta in cui a perdere è sempre l’Io e non l’ombra, anzi essa prende un potere così grande che può veramente uccidere l’Io. Il dr. Jekill e Mr. Hide ce lo insegnano. Certo tutto questo può generare dolore e il nostro mondo ha una paura folle del dolore, ma negandolo, rimuovendolo, si genera superficialità. “Il dolore è la più grande risorsa che la vita possa offrire” continua Carotenuto, ma noi ne abbiamo una paura incredibile; nella nostra società esorcizziamo il male , il brutto, il vecchio, basti pensare a quante parole edulcorate sono entrate nel nostro vocabolario: non-vedente, terza età, inabile e tante altre che ora non mi vengono in mente! L’Alzheimer però, come altre malattie, è sempre esistita (vedi i Libri dell’Imperatore Giallo), ma a parte l’impossibilità di sapere se veramente millenni fa si parlava di essa o di qualcosa che ci assomigliava soltanto, concludo questa digressione dicendo che persone con la testa piena di inutili idee ci sono sempre state e che la paura di arrivare tardi, di non aver tempo di.. prende e prendeva molti da una certa età in poi. Il nostro cervello si modifica continuamente se è stimolato correttamente. Recentemente il Nobel R. Levi Montalcini ha scoperto il “fattore di crescita”. Ma per stimolarlo nel modo giusto bisogna star bene con se stessi, incontrare la nostra vera natura essere noi stessi, come da sempre ripetono i saggi, bisogna seguire quell’intelligenza che nasce con noi e che conosce tutto, basterebbe, come diceva Socrate, far “partorire” le idee (maieutica) che sono innate invece che cercarle freneticamente fuori di noi. L’educazione, la cultura, l’ambiente ecc. costruiscono un Io che talvolta ci rende prigionieri e non lascia fluire spontaneamente la nostra vera natura. Il pensiero analogico della medicina antica, così come lo esprime Paracelso “microcosmo=macrocosmo”, o nel concetto di base dell’esoterismo “come sopra, così sotto”, “come dentro così fuori”, si avvicina all’idea della simmetria. Se concepiamo analoghi forma e contenuto, corpo e anima, uomo e mondo, siamo più vicini alla realtà di quando ci mettiamo alla ricerca delle cause, poiché la fisica ha dimostrato che il mondo è determinato non da successione causale, ma da vicinanza sincronica. La chiave per entrare in questa concezione va ricercata nel simbolismo che è alla base dell’interpretazione dei sintomi. I simboli, assieme al rituale che su di essi è stato costruito, svolgono oggi come ieri un ruolo preponderante ma quasi del tutto ignorato dal sistema sanitario. Morire per rinascere ad un livello di consapevolezza coscienziale superiore. Fare vuoto dentro di noi è una delle leggi capitali per un processo di crescita, vuol dire riempire se stessi di un contenuto che è al di fuori del tempo e dello spazio, al quale apparteniamo e che ci appartiene: un archetipo. Nel quinto Vangelo di S. Tommaso si dice:” L’uomo vecchio non esiti a rendere i suoi giorni come i 7 giorni di un neonato all’origine della vita, e continuerà a vivere, perché ciò che è prima è dopo e tutto si unisce… All’uomo si manifestano gli Archetipi Viventi ma la luce che è in essi li fa rimanere nascosti. Nelle forme la luce del padre si manifesta e i suoi Archetipi Viventi sono cancellati dalla sua Luce”. Ed ancora S. Agostino dice: “Il passato non è più, il futuro non è ancora, il presente non è che un attimo, …passo il tempo senza sapere che cosa è il tempo.” (Da Confessioni libro XI capp. 14-18. Anche il mondo della scienza si sta comunque accorgendo che cerchiamo di “ricordare troppo”. Eric Kandel 71 anni, Nobel 2000 per la Medicina, afferma che ricordare tutto può essere addirittura segno di malattia. Il cervello ha una grande capacità: quella di saper dividere le migliaia di informazioni che gli arrivano mettendo da parte le poche realmente importanti nella memoria a lungo termine, destinandole quindi a rimanere inscatolate nel cervello, ed eliminando dopo pochi secondi le sensazioni che vanno dimenticate. “Probabilmente”, dice, “esiste un gene della smemoratezza, che si è formato nel corso del processo evolutivo e forse questa caratteristica genetica è la chiave dell’intelligenza, che deve essere in grado di dimenticare quanto è superfluo, ma anche di ricordare e rielaborare poche nozioni fondamentali.” Abbiamo detto che è la corteccia cerebrale, la parte più recente del nostro cervello, ad ammalarsi; la zona che controlla la memoria e la disponibilità delle informazioni apprese, funzioni come il battito cardiaco, la respirazione, la digestione, non vengono intaccate. Le placche che si formano mi sembrano un estremo tentativo dell’Io che si irrigidisce, perdendosi definitivamente e dimostrando quindi la sua “stupidità”. Allora se la mia vita deve essere ricca di esperienze, ma nel tempo stesso devo continuamente selezionare per non incorrere in un sovraccarico quando posso dire che un individuo sta invecchiando bene? Jung afferma che le fasi sono due. Nella prima avviene la realizzazione sul piano esterno, nella seconda solo chi inverte il processo e rivolge l’energia all’interno, per realizzare interiormente qualche cosa, invecchia bene, perché inizia un nuovo ciclo. La creatività acquista un ruolo determinante perché può mantenere vivo o riattivare, se si era assopito, il bimbo che sonnecchia dentro di noi. Forse il Ginkgo che viene utilizzato con un certo successo, più che far bene per gli elementi che racchiude, ha in sé il segreto della longevità ed è il suo distillato che aiuta: assumiamo quindi gocce di intelligente invecchiamento! Se la degenerazione della corteccia cerebrale, se la sua atrofia, fossero il rifiuto del cervello ad immagazzinare nozioni inutili, pensieri lontani dalla vita? Se l’Alzheimer fosse il modo di reagire dell’universo nei confronti di pensieri che hanno saturato il “suo” cervello? L’individuo scolaro è un’immagine collettiva che si è fissata all’interno della nostra corteccia: l’encefalo cerca di liberarsene perché non vuole tramandarla geneticamente alle generazioni successive. E’ stato dimostrato che c’è un gene che partecipa all’allungamento della vita e all’abbassamento dello stress, come se la Natura avesse sempre saputo che invecchiamo bene se non siamo troppo stressati. La gioia di vivere porta ad autocurarsi. La demenza sembra portare alla luce quello che non abbiamo espresso di noi stessi. Dobbiamo ritrovare la nostra innocenza per evitare di ritrovarla attraverso la malattia. Lasciar fluire l’energia dell’universo significa tutelare la mente da un invecchiamento precoce. Ci può essere un legame tra ordine e malattia e salute e caos? Ogni nostra azione agisce nel cervello; le abitudini inibiscono i circuiti cerebrali della creatività, le novità costringono il cervello a ricrearsi continuamente. Durante un seminario sulla Comunicazione ho ascoltato alcune affermazioni che mi sembravano legate a questo discorso. “Bisogna cercare il nostro centro” si diceva, ma i malati di Alzheimer lo hanno perso e quindi, forse per questo, ad un certo punto non parlano più e non riconoscono né gli altri né se stessi. Forse (quanti forse!) è positivo che non parlino, perché nel silenzio ascoltano il nulla, la vita che scorre al di fuori dello spazio e del tempo che noi conosciamo. Prima di arrivare all’afasia, passano solitamente un periodo in cui ripetono sempre una parola, un suono… forse stanno ripetendo il LORO suono e noi non capiamo che, in realtà, si stanno avvicinando a quell’universo da cui sono arrivati e verso il quale stanno tornando. 6. CONCLUSIONE CON OSSERVAZIONI SUI PROBLEMI DELLA VECCHIAIA In un’epoca in cui la gioventù viene divinizzata, l’età senile e i processi d’invecchiamento vengono vissuti in modo problematico. Ad ogni epoca corrispondono malattie specifiche o meglio si evidenziano in modo particolare alcune malattie invece di altre. Groddeck ha osservato a proposito dell’invecchiamento: “non è l’invecchiare che di per sé consuma gli organi, ma il sovraccarico dei pensieri: una persona di 70 anni, ha organi che portano carichi appunto da 70 anni”. La maggior parte delle persone vuole arrivare alla vecchiaia ma nessuno vuole essere vecchio. Le fonti di eterna giovinezza dei tempi antichi ci sembrano ridicole, e tuttavia non sono troppo lontane dai tentativi odierni per ingannare la vecchiaia e per bandire la morte dal nostro orizzonte. I tentativi di “tirarsi su” ricorrendo ad innesti di cellule fresche prelevate da animali non nati, ricordano i cattivi costumi di alcuni sovrani medievali, che cercavano di rigenerare il loro sangue stanco, appropriandosi di quello di ragazze giovani. Questo è accaduto anche recentemente. Il defunto dittatore rumeno Ceausescu ha cercato di rinverdire la propria vita con trasfusioni di sangue di neonati. Anche l’elemento della follia svolge un ruolo essenziale nella vecchiaia. Il vecchio pazzo, che agisce in modo incomprensibile, perché vede le cose da un’altra prospettiva e che può permettersi finalmente di dire la verità, di recuperare la gioia infantile del gioco, dello scherzo, della sorpresa, sarebbe una figura che ridurrebbe di molto ogni forma di pazzia psichiatrica che si manifesta spesso in vecchiaia. Così anche la figura del vecchio saggio, che spesso può coincidere con quella del pazzo, è in pratica introvabile perché oggi sono introvabili i vecchi. Il morbo di Alzheimer, che si manifesta sempre nella seconda metà della vita, mette in luce il rapporto con la via evolutiva e mostra in che misura tale rapporto sia andato perduto, oppure trasferito nel corpo: i soggetti diventano infantili e subiscono una concreta involuzione. La vita dell’hinc et nunc, la meta del cammino evolutivo, ha in questa forma irrisolta qualcosa di spaventoso. Chi non ricorda più niente e vive al di là del tempo lineare, non può più avere responsabilità di alcun tipo. I pazienti non sanno più dove sono e dove vanno. Con l’orientamento hanno perso nel vero senso della parola anche l’oriente, alla fine della loro strada manca la luce e quindi la speranza. Quello che i pazienti hanno represso nella vita per educazione o per scrupoli di altro tipo, si manifesta ora liberamente. La sofferenza si acuisce di notte e talvolta è necessario lasciare accesa una piccola luce simbolica, come si fa con i bambini, per illuminare il lato oscuro della realtà. La malattia può essere interpretata come un ritornare ad essere bambini sprofondato nel corpo. Come i bambini odiano le porte chiuse e il senso di insicurezza, si spaventano anche di fronte alle sorprese o ai cambiamenti fatti con le migliori intenzioni, non c’è modo di discutere con loro, però reagiscono con gratitudine alle manifestazioni di affetto. Hanno bisogno di essere accuditi in tutto, devono essere nutriti, lavati, fasciati. Si muovono in circolo, si perdono ad ogni occasione, hanno simbolicamente rinunciato alla loro strada. Perdono continuamente il filo del discorso, così come nella vita hanno perso l’orientamento fino ad arrivare alla disfasia. L’agnosia, sintomo ulteriore, li porta a non riconoscere più neppure se stessi. L’aprassia, incapacità di compiere azioni pratiche, li sprofonda nell’inattività e nell’inettitudine. Il ritorno alle origini della vita è affondato nell’ombra. Invece di diventare come bambini in modo libero, con il cuore aperto pronti a stupirsi, affondano nel nulla. L’immagine delle cellule nervose murate nel cemento con i loro collegamenti interrotti, rispecchia da un punto di vista anatomico la loro situazione. Il risultato è la morte da vivi. L’afasia può indicare la scelta di divenire silenziosi di fronte ad un mondo che suscita stupore e che spaventa, l’aprassia come incapacità di compiere azioni o gesti completi può essere letta come l’abbandono della vita attiva e del sapere (perdita della memoria), mentre i bambini crescono, i malati di Alzheimer precipitano verso la fase più importante e più difficile della vita: la discesa nelle tenebre. Per chi accompagna il malato si può ricordare il mito di Orfeo ed Euridice: la persona che si è amata e si è cercata di salvare scendendo a nostra volta nelle tenebre, sparisce nell’oscurità e si rimane soli . Mi torna alla memoria anche il romanzo di Ende “La storia infinita” un libro “iniziatico” che narra la storia di un’anima, il lungo viaggio che conduce all’amore, itinerario nel mondo del mito (si riconosce Ulisse), della letteratura classica (Dante, poemi cavallereschi) e avventurosa (Tarzan ecc.), l’attraversamento di un immaginario che è la realtà sotto falso nome. Il protagonista, Bastiano, attraverso straordinari e indimenticabili personaggi, si incontra e scontra continuamente con se stesso ed arriverà non a desiderare di diventare un altro, ma di essere sé. Il malato di A. è invece tale perché ha paura di invecchiare, di non avere più il tempo di fare ciò che non ha mai avuto il coraggio di intraprendere, così si perde ed invece di sconfiggere il NULLA che avanza ed inghiotte tutto, è lui stesso inghiottito.