Grigorij Efimovic Rasputin. Il monaco diavolo…

ras_1866302bdi Susanna Schimperna

Fonte: mirorenzaglia

Nella sala più grande della casa si erano riuniti i capifamiglia del villaggio per consultarsi su un misterioso furto di cavalli. Il piccolo Grigorij se ne stava febbricitante nel letto, delirando. Era caduto in acqua insieme a suo fratello, e da parecchi giorni lottava con la morte. All’improvviso, tra lo stupore generale, urlò un nome. «E’ lui il ladro, è lui!», aggiunse. Si trattava di uno dei presenti, un uomo ricco e insospettabile. Si fecero indagini, l’accusa risultò vera. Questa, a quanto ci tramanda la storia, fu la prima vera manifestazione dei poteri extranormali di Grigorij Efimovic Rasputin, il leggendario “monaco diavolo”, come fu definito, colui al quale si ispirò, in gran parte, la politica dell’ultimo zar Nicola II, lo zar a cui i detrattori attribuirono nefandezze innominabili, e gli estimatori miracoli e prodigi.

Da ragazzo Rasputin era un tipo allegro, gran bevitore, dotato di un carisma innegabile. Dopo il famoso episodio del furto di cavalli, continuò a dar prova dei suoi potere in vari modi. Curando gli animali, ad esempio, che sotto il suo sguardo penetrante guarivano senza neppure essere toccati. Spesso partiva per lunghi pellegrinaggi di santuario in santuario, seguendo la tradizione laica russa degli stanniki, gli asceti vaganti. Raggiunse il monte Athos, la Terrasanta, e rimase per mesi con la setta iniziatica dei Chlysti, da cui, pare, apprese le tecniche esoteriche di manipolazione della psiche, le stesse che si vantò di aver imparato dalla tradizione ortodossa un altro grande del mistero, contemporaneo di Rasputin: Aleister Crowley.

Di ritorno dalla Terrasanta, Grigorij edificò nel suo giardino una cappella dove quasi ogni giorno arringava i fedeli, spiegava loro le Sacre Scritture, prediceva l’avvenire, guariva i malati, risanava le piaghe. Un taumaturgo? Un santone? Uno stuolo incredibile di nemici cominciò a lanciare accuse violentissime contro di lui: dalle sevizie allo stupro, mentre il prete di Pokrovskee lo denuncerà per “turpi riti” e per eresia. Dall’accusa Rasputin viene scagionato, ma una fama sinistra da quel momento l’accompagna, una fama destinata a diffondersi ben oltre il villaggio di Pokrovskee. Infatti, di lì a poco, attraverso l’amicizia della principessa montenegrina Rasputin accede al palazzo dello zar.

Il giorno è fatidico, e viene riportato dettagliatamente nelle cronache. Entrato nel grande salone, Grigorij non degna di uno sguardo nessuno. Il suo atteggiamento non è certo quello di un umile contadino siberiano, mentre, a passo spedito e col capo eretto, si dirige senza esitazioni verso la cagnolina moribonda dell’imperatrice Alessandra, e la guarisce, proprio come da fanciullo aveva guarito i cavalli.

L’incontro con lo zar e la zarina è decisivo, non soltanto per la storia individuale di Rasputin, ma per la Russia. Grigorij diventa in breve tempo il consigliere, l’amico, l’uomo la cui voce basta, al telefono, ad arrestare le emorragie del figlio dello zar, malato di emofilia. Si intromette nella politica imperiale: nel 1905 suggerisce a Nicola di inaugurare la Duma, il parlamento, e, allo scoppio della guerra mondiale, guerra che aveva fatto di tutto per scongiurare, caldeggia la ripartizione delle terre fra i contadini, l’abolizione della manomorta ecclesiastica, la revoca delle leggi discriminatorie contro le minoranze religiose e razziali.

L’odio contro di lui cresce, s’inasprisce; diventa calunnia, persecuzione. Il primo ministro Stolypin lo detesta, e così gli altri ministri, che Rasputin può far nominare o allontanare a proprio capriccio. La stampa e i circoli politici sono scatenati contro di lui, e Rasputin scampa a dieci attentati. Gli è fatale il tranello tesogli, alla fine del 1916 e dunque in piena guerra, da un principe, un deputato e un granduca. Il principe, Yussupov, lo attira nel suo palazzo, e gli offre liquori e dolciumi corretti al cianuro. Ma lui mangia e beve senza dare il minimo segno di malessere. Allora i complici fanno irruzione nella stanza, sparano, Rasputin cade a terra, poi in uno scatto improvviso si rialza, e ghermisce alla gola Yussupov. Lo colpiscono ancora, e ancora. Quando alla fine trascinano via il corpo e lo gettano nel fiume gelato, le mani si animano in un ultimo, disperato guizzo di vita, e si protendono, le dita come artigli, fuori dall’acqua.

Il cadavere ritrovato fra i ghiacci della Neva viene ripescato per ordine degli zar e seppellito solennemente. Ma neanche la morte è sufficiente a far sbollire l’odio. Dopo la rivoluzione di febbraio, il corpo viene dissepolto dalla folla, e bruciato. Però… quel corpo, trovato nei ghiacci col volto sfigurato irriconoscibile, è davvero di Rasputin?

I membri della società segreta Chlysti non credettero alla sua morte. E nemmeno i mugiki, i contadini, che non dimenticarono mai che Rasputin li aveva difesi, proprio come Rasputin non aveva mai dimenticato di essere stato uno di loro, un contadino. E gli altri? La figura del monaco li perseguiterà. Generali e nobili dichiareranno di vederne il fantasma, minaccioso e terribile, che impreca contro la guerra e lo sterminio dei mugiki.

Dopo tanti anni, il nome Rasputin suscita ancora domande, paure. Ma se invece il “monaco diavolo” fosse stato un uomo dotato di poteri straordinari, e calunniato per la sua bontà e diversità? Lo sostiene Elémir Zolla, che scrive: «Di questo contemplativo che con l’orazione sanava i malati, liberava gli ossessi, largiva parole di pace e di buongoverno ai potenti, si osò fare un mostro assatanato. Che la sua grazia ritorni visibile agli onesti».